di Leonardo Salvador @maredimondi;
Cinque volte al giorno una voce echeggiava su tutta la città; non importa quanto questa fosse grande: il suono correva lungo tutti i viottoli e rimbalzava per tutte le strade, entrando nei cortili e raggiungendo gli orecchi di tutte le case.
La voce cantava una volta prima dell’alba, una quando il sole era nel punto più alto, una prima del tramonto, una di sera e una nel cuore della notte.
Quando la voce cantava, le musiche e i rumori si dissolvevano per lasciarle spazio e tutti gli abitanti si fermavano ad ascoltare: smettevano di lavorare o di parlare e lasciavano in sospeso qualunque cosa stessero facendo. Non era strano vedere un marciapiede affollato fermarsi del tutto; le stesse persone che si stavano affrettando un piede dopo l’altro, ora erano immobili con gli occhi nel vuoto e le orecchie ben tese.
Alcuni abitanti, durante la canzone che tutto ferma, si guardavano negli occhi, altri osservavano gli oggetti nelle loro case, altri alzavano lo sguardo al cielo per contemplare il lento movimento delle nuvole, altri infine guardavano il fiume che continuava a scorrere inesorabile, e quasi lo rimproveravano per non essersi fermato come tutto il resto.
Qualunque cosa stessero facendo, non importava. L’unica cosa che contava è che in tutto ciò che odoravano, vedevano o toccavano, riconoscessero una fonte: ciò che permette a tutto di accadere e che si muove dentro ogni cosa, come il suono della voce che tutti raggiunge.
La voce viene da tempi lontani, è un canto di sofferenza e d’amore, violento, a cui non si può sfuggire, forte e altissimo di tono, che penetra sotto la terra e fora il cielo, unendo in un unico raggio il sotto col sopra, il vicino al lontano, il conosciuto all’incognito. Non c’è nulla che la voce non unisca.
Leonardo Salvador
@MarediMondi
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