“Dove sono finiti i poeti?”

Sardine di Pedro Aversa; foto: @rossofloyd

Era un sabato mattina di novembre quando Giacomo si alzò più pimpante del solito: era gran giorno per lui. Oggi ci sarebbe stata la Manifestazione, era la prima volta che si svolgeva dalle sue parti.

Rimase per una buona oretta sul letto a fantasticare su cosa sarebbe potuto succedere lì, in piazza Trecento, in mezzo a migliaia di persone pronte a protestare per la libertà, l’uguaglianza e la democrazia. Ormai era tempo di fare qualcosa, qualcosa di serio. I cambiamenti climatici, le politiche egocentriche che proteggevano i potenti, il senso di nero razzismo che si respirava per le strade: tutto faceva presagire il peggio. A poco ci sarebbero state le elezioni e i sondaggi lo vedevano favorevole. Se vincesse, se lui vincesse…un pensiero che Giacomo non voleva neanche prendere in considerazione.

Nonostante tutto, credeva ancora negli italiani e nel movimento di rivoluzione pacifica che da mesi stava influenzando tutta l’Italia come il raffreddore in un asilo. Credeva che, in fondo, non esistono persone che possano appoggiare uno come lui, un “dittatore” del ventunesimo secolo. La storia è un circolo vizioso in cui si fanno errori, si pagano e poi ci si dimentica; e questo aiuta i deboli di memoria a rifare gli stessi errori, ancora ed ancora. Ma è tempo di dare un freno a questi errori, di finire d’esser masochisti e concedersi la felicità. Sperava di trovarne diecimila, ventimila, trentamila là in piazza a cantare canzoni ormai proibite e a sfidare il tempo; desiderava trovare persone nuove, avvicinarsi a nuovi amici di esperienze…e magari trovare una ragazza tra la folla. Ma queste erano solo sogni e speranze di un giovane. Si girò e rigirò sul letto alzando le mani e guardandosi i palmi: erano vecchi, sembravano quelli di un sessantenne; pensò che se continuerà a fare il cameriere, tra dieci anni sembreranno ancora più vecchie. Le linee della vita sui suoi palmi erano più corte del comune; era la prima volta che lo notava. Si accorse che erano ormai le otto. Scattò dal letto, fece una colazione al volo e si preparò per uscire. Oggi era il gran giorno. Oggi era il giorno della Manifestazione.

Pioveva. Pioveva sempre a novembre, da anni ormai. Il pantano perenne che accompagnava ogni suo passo proponendo sempre lo stesso suono di gelatina appiccicaticcia era oramai una compagna invisibile nelle camminate che lo separavano dalla sua auto. Così come l’accensione stentata della sua Panda e quel perenne movimento oscillatorio dell’unico tergicristallo che andava su e giù, su e giù; e poi, dopo poco, sugiù, sugiù, sugiù…aveva il motorino guastato. La strada che lo separava dal centro cittadino era sempre la stessa. Ormai la faceva ad occhi chiusi, anche con la pioggia.

Erano le nove e mezza quando arrivò in piazza Trecento, camminando per lo stesso vialetto antico, colmo di case di epoca rinascimentale che si aprivano a una piazza che ogni giorno gli donava scorci inaspettati. L’evento doveva cominciare alle dieci. Il ragazzo era entusiasta di vedere già qualche persona con un libro in mano, pronto a scambiarlo con altri compagni sconosciuti, altre sardine rivoluzionarie. Andò in centro, con l’ombrello in mano che lo proteggeva da una lieve pioggerellina e rimase un po’ lì, imbambolato, ad ammirare l’inizio di qualcosa. Qualcosa che avrebbe potuto significare molto per lui, forse qualcosa che nel futuro verrà ricordata da tutti. Già si immagina vecchio, seduto su quelle classiche sedie a dondolo dei film americani, a raccontare a suoi nipotini di quella volta che ha partecipato alla Manifestazione. S’immagina proprio come suo nonno quando gli raccontava le incredibili storie del ’68…con capelli spagliati, barba incolta e grandi occhiali per nascondere le occhiaie di un lettore in fase calante. Sì, si dice, questo è un grandissimo giorno.

Un tuono prepotente lo risveglia dal suo sogno ad occhi aperti. Si rifugia su uno dei tanti bar che costeggiano la piazza prima che il temporale si scagli contro la città. Quel lieve senso di freddo che accappona la pelle lo scuote immensamente in frivole sensazioni di delusione. Se continua così, l’evento non si farà. Una sua lacrima si mescola con la fredda pioggia figlia di un inverno ormai sopraggiunto mentre guarda la piazza ormai vuota e senza speranza di salvezza. Lui ha vinto. Lui diventerà il premier e questo paese cadrà. Dove sono finiti i poeti, gli artisti, i geni…dov’è finita la cultura italica? 

Oramai sono le dieci e mezza. Lui vincerà.

Amareggiato, Giacomo prende un calice di Merlot al bar e lo sorseggia mentre guarda la pioggia scendere imperterrita come un segno divino del destino. La sua mano è gelata, ma non pensa neanche per un secondo a lasciare il calice; è immerso nei suoi pensieri, nei suoi infiniti mondi di futuri immaginari e via via più oscuri. È quasi alla fine del suo bicchiere di vino, quando una ragazza lo interrompe. Una bellissima ragazza vestita di nero, con uno di quei classici capellini da radical chic vintage color rosso smeraldo e due occhi verdi come i prati in primavera.

“Hey ciao! Tu sei qui per la manifestazione?”

“Sì. Perché?”

“In questo bar tutti sono qui per questo, in quello affianco anche. L’idea è di vincere la pioggia e andarci lo stesso. Ci stai?”

Giacomo ci pensa. Ama il suo paese, ma non crede di volersi bagnare tutto per niente. Non crede che questo serva veramente a trasmettere qualcosa; improvvisamente crede che questa Manifestazione sia inutile. Come tutto del resto…è tutto inutile nei suoi pensieri. Ha perso l’attimo. Ha paura.

“Tu che libro hai portato?” gli fa la ragazza, allontanandolo dai suoi pensieri.

“La conquista della Felicità di Bertrand…”

“Russell. Sì, lo conosco.” Lo interrompe la ragazza che poi continua “Senti, lo so che non è il massimo andare là sotto la pioggia per protestare contro un uomo che probabilmente vincerà, ma penso sia giusto farlo. In fondo sono solo due gocce d’acqua. Non stiamo parlando di andare a morire, di rischiare la vita ma solo di far vedere che ci siamo, che esistiamo…”

Giacomo non ha voglia di prendersi la pioggia, ma i suoi occhi sono magnetici e la sua voce poetica e non riesce proprio a deludere quella bellissima sconosciuta.

Così si lascia trasportare in mezzo alla pioggia, senza l’ombrello. L’acqua attraversa ogni angolo del suo corpo. Avvolge i suoi capelli,  arriva persino ai suoi calzini inzuppandosi come biscotti nel caffè. Si ritrova in centro alla piazza e si vede, come in un sogno ancestrale, circondato da ragazzi e ragazze di tutte le età. Tutti senza ombrello. Tutti sorridenti.

Si scambiano i libri in mezzo alla pioggia; ridono, forse piangono…sono felici. A un certo punto la pioggia finisce, dando risalto a un sole mistico e ad un arcobaleno di speranza. Lui ci guadagna un libro di Calvino, il numero della ragazza dagli occhi verdi e un senso di mistica completezza.

Pedro Aversa (@aversa.pedro)

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