“I tuoi abissi che ti fissano…”

È un po’ come salire su una barca ed allontanarsi lentamente dalla riva: all’inizio sei tranquillo, la riva è lì la puoi vedere, basta un minimo sforzo per tornarci; poi pian piano inizi a vederla piccina piccina, ed allora pensi che sarebbe più saggio tornare indietro, al sicuro. Ma quello strano appetito, quella curiosità invadente, quel senso di libero abbandono ti dicono che su quella riva ci sei sempre stato e che lei rimarrà sempre lì. Invece tu sei mai arrivato fino a queste acque profonde? Cosa puoi trovare da qui in avanti?

E tu gli dai ascolto, continui, ti allontani, prosegui con il cuore un po’ meno leggero, la paura che ti taglia il fiato e la fatica che lenta e spietata inizia ad arrampicarsi dalle radici fino alle fronde dell’albero maestro della tua barca. Prima che tu possa rendertene conto, ti sorprenderai da solo, perso nei tuoi mari nessuna compagnia, il cielo nero che ti ignora ed i tuoi abissi che ti fissano.

E sarà allora che ti renderai conto che non si può più tornare indietro, sarà allora che saprai che non puoi far altro che andare avanti, tirare dritto verso la tempesta: perché è lì che quello che cerchi ti cadrà addosso luminoso e tremendo come un fulmine, folgorandoti.

Solo quando tutti i fulmini del tuo spietato cielo si saranno scaraventati su di te e la tua barca si sarà infranta contro tutti gli scogli dei tuo agitati mari, forse, sempre che tu ne abbia voglia, potrai tornare sulla tua noiosa riva. La vedrai con occhi diversi, te lo assicuro.

Marco Piccioni (@Write.out.your.shit.army)

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