Ospite del tempo – Episodio I

di Anna Toscano; foto: Carmelo Tuscano (@tuscar).

“Un giorno andrò via di qui.”

“Perché?”

“Perché non c’è niente qui, per uno come me.”

“Non è vero.”

“Sì, è come se fossi...un fantasma.”

Siamo sospesi su una trave di legno chiaro, le gambe ondeggiano e accarezzano l’aria. C’è uno scirocco dolce e un profumo strano, ma il vento è silenzioso, oggi. Anche io rimango in silenzio, cercando di formulare una risposta convincente.

“Ma questo, in un certo senso, ti rende libero di essere quello che vuoi.”

Ti guardo riflettere e penso che probabilmente sono al sicuro qui, anche a quattro metri da terra, sulla trave più alta, sul legno scheggiato del nostro capannone preferito.

“Non l’avevo mai pensato da questo punto vista.”

Il mio porto sicuro ha una pelle liscia, di un delicato color nocciola e capelli di caramello. Lo sguardo pensieroso fissa un punto di fronte a noi, in corrispondenza di una piccola finestrella, dalla quale si vede uno spicchio di cielo blu e qualche nuvola passare, ogni tanto. L’iride verde svela una strana luce.

“Anche io vorrei.”

“Cosa?”

“Essere libera.”

“Ma tu lo sei.”

“No, non lo sono neanche un po’.”

Non abbiamo mai saputo nulla di noi e non lo sappiamo neanche adesso. Quindi rimaniamo in silenzio, ascoltando i rumori provenienti dalla spiaggia. Bambini che giocano, donne e uomini che portano avanti le loro vite, probabilmente senza porsi troppe domande, senza assillarsi di troppi perché. O forse è il mare che fa questo effetto. Sollevandosi leggermente sulla nostra trave, si riesce a vedere quello che succede in mare, sulla spiaggia, si distinguono le persone. Dalla nostra finestrella ci immaginiamo un sacco di cose, costruiamo storie, diamo alle persone nomi, identità che non gli appartengono. Da qui, dall’alto delle nostre travi, siamo degli equilibristi che si fanno beffe della realtà.

Mi sbilancio leggermente, nel tentativo di vedere meglio una donna e un uomo che stanno salendo su una piccola barca, proprio sotto di noi; sento un vuoto allo stomaco, come se fossi già precipitata e d’istinto mi tengo stretta alla trave, così forte che sento una scheggia trafiggere la pelle…ma adesso non importa.

“Hey, stai attenta…” Mi dici, tenendomi il braccio, cercando di non cadere insieme a me.

“Tutto ok, sono di nuovo in equilibrio.”

Piuttosto precaria, la nostra stabilità. Siamo legati a un filo, per questo ci piace questo posto. Un ragazzo si sta tuffando in mare, lo guardo e lo invidio. Vorrei essere leggera come lui, riuscire a divertirmi, andare alle feste come i ragazzi della mia età. Eppure non ci riesco.

Adesso rimango in silenzio e torno a guardare il film che si stava svolgendo sotto di noi (o forse solo nelle nostre teste). Noi stavamo lì, in bilico su una trave di legno, a creare storie, cucire sui personaggi vite che non hanno alcun legame con la loro realtà. Attribuire risposte, domande, parole e persino dichiarazioni d’amore a queste persone sconosciute, che ignare facevano il bagno e si divertivano, non sapendo di essere osservate da noi, dal nostro capannone dei “cantieri meticci”, dal nostro rifugio nel posto più bizzarro della città.
Siamo dove nessuno verrebbe mai a trovarci.
Cerchiamo storie, siamo avidi di vita.
Avidi di questa vita, del sole di Capo Vaticano, del mare che è imprevedibile, dei colori del sole che muore dietro le Isole Eolie. Ci nutriamo dei venti del sud, dello scirocco che viene dai posti più caldi del mondo, di tutte le correnti che ci trasportano quando siamo in mare, a largo, lontani da tutti. È facile, passeggiare, tenendo stretta la granita al limone che si sta già sciogliendo, mangiarla di fretta, sentire il gelo fin sopra al cervello. Io vorrei che tutto questo continuasse per sempre. Voglio rimanere per sempre in questo limbo, che tutti chiamano giovinezza, che io invece chiamo caos, confusione, ormoni impazziti, ingiustificati momenti di follia che ti fanno continuamente fare le cose sbagliate. Sì, voglio restare così, per sempre giovane, insieme a Yahis. Anche se vorrei, ogni tanto, togliermi dalla testa le domande che mi tormentano, mi assillano…e non se ne vanno mai:

Chi siamo? Perché siamo qui? Cosa sarà delle nostre vite? Le butteremo al vento? 

Non lo sappiamo, ecco il punto. E forse non lo sapremo mai. Ogni tanto, quando sono da sola sulla spiaggia, immagino la vita sedersi accanto a me e chiedermi: “Cosa diavolo stai facendo di me?”           

Mi sfiori per appoggiarti alla trave accanto, interrompendo il flusso di folli pensieri che mi attraversavano come un treno in corsa. E penso che forse, un giorno, riusciremo a scrivere la nostra storia. Riuscirò a parlare a un foglio bianco delle cose che mi dirai. Ma forse questo non accadrà mai: continueremo a sfiorarci per sempre, a evitare le schegge sulla nostra trave più alta, innamorandoci delle storie e dei personaggi di un cinema immaginario. Siamo i registi di qualcosa che va oltre noi stessi, che è contenuto in una piccola finestrella, intagliata nel truciolato di questo vecchio capannone. Forse può bastare, per adesso.

Io ho 15 anni e sono già stanca di vedere la vita scorrere. Voglio fermarmi qui, Yahis, restare per sempre giovane. Ho visto cosa succede da grandi, io non voglio diventare così. Non ha senso invecchiare, proprio non riesco a venirne a capo. Nulla ha senso per me, se non stare qui appoggiata a costruire, allargare come un elastico la mia mente, abbracciare persone immaginate, ficcarmi schegge nella pelle pur di stare lontana da tutti.

Lo so, non ha alcun senso. È per questo che scavo nelle vite degli altri.


Anna Toscano (@rossofloyd)

 

Foto: Carmelo Tuscano (@tuscar)

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