“La luce a bassa voce…”

di Loris Pina; artwork: Filippo Toscano

Dormi. Il camice resta a sorvegliare
(lui ama poltrire – è pigro –
ma deve scucire le ferie come
le infermiere) il piano,
stirato asciutto lavato e ordinato
piegato petto in fuori.
I fori lui li cuce
abbassata la luce a bassa voce.
Gli ospiti riposano e tu devi imitarli.
“Paola, socialmente sei più utile di me: 
tu sai curare le persone. Le aiuti a stare meglio.”
“Ma non intendevo socialmente.”
“Ti stimo perché anche personalmente
sei molto più utile di me.”
“Quanto?”
“Tantissimo, come la Pina di Fantozzi.”
Ma non ti voglio eroina
che con qualche moina viene placata
e accelerata ai doppi turni urgenti
per i degenti – gli ospiti,
scusa – della struttura,
premura assoluta dei dipendenti.
Stringere i denti oltre misura porta
al burnout, liti interne, alla rottura.
Due paia di guanti in lattice ostacolano
un sano afflusso di ossigeno, punto.
“Ora come ora la parola è una sola: metti a letto gli occhietti.”

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