di Boris Gagliardi "Amo la vita reale e non meno quella nei miei sogni. Ormai le due parti sono inscindibili. Vivono della stessa sostanza nutrendosi a vicenda."
Ora le due luci si erano ricongiunte, come il giorno e la notte, spostandosi altrove. Mi accorsi di provare una certa stanchezza. Le membra intirizzite dal freddo e l'umidità della notte appena trascorsa. Le palpebre pesanti si chiudevano cercavano la forza di resistere, per non dimenticare e scivolare nell'oblio. Non riuscivo a comprendere il motivo del perché una parte di me volesse a tutti i costi tenerle aperte... C’era qualcosa, un dettaglio, un’inezia che mi sfuggiva e non sapevo ricordare. Mi ficcai allora nell'incavo di una barca, era capovolta sulla sabbia. Dentro, l'odore del legno arso tratteneva pure quello del pesce che vi era stato pescato tante volte. Le onde del mare scandivano il tempo ripetendo, lente, l'antica canzone. Mi addormentai pensando che quello fosse il posto giusto: la tavola di un ristorante, dove mi era stato servito, in una teglia, un dentice intero avvolto nel sale. Così feci uno strano sogno...: Mi ero svegliato sudato, il collo mi faceva male. Avevo dimenticato il condizionatore accesso. Ma quella non era la mia casa. Sudavo freddo e mi chiedevo: - Dove sono? Cosa mi sta accadendo? - Provai a chiudere le palpebre e a fare un respiro profondo per calmarmi. Quella non era la mia stanza, né la mia casa! Mi alzai in piedi dal divano e mi diressi alla porta, ma era chiusa a chiave dall’esterno. Provai a forzarla ma non si muoveva. Allora andai alla finestra, ma pure questa era stata inchiodata e non si apriva. In questo posto regnava il silenzio...iniziai a guardarmi intorno. Le pareti della stanza avevano la carta da parati. Era vecchia e in qualche punto strappata. Per terra vi erano dei calcinacci e polvere bianca di intonaco. Il soffitto era pieno di crepe e di bolle. L’umidità era riuscita a passare. Vi era una grossa chiazza marrone che sull’angolo scendeva dall’alto. Si sentiva l’odore della muffa. Ora me ne accorgevo. Mi misi a frugare nei cassetti di una credenza. Vi trovai delle forbici, dei ritagli di giornale, fatti a pezzetti. Provai a ricomporli. Erano minuscoli, non più grandi di un centimetro. Mentre li ricomponevo, un brivido mi attraversò la schiena. Come una goccia di veleno sentivo che scendeva attraverso i solchi e le lamine vorticose del cervello diffondendosi nei diversi lobi. Non riuscivo a percepire la sensibilità di alcune parti del viso...le sentivo gonfie. Una lacrima mi era scivolata dall’occhio sinistro sopra lo zigomo e aveva raggiunto la rima del labbro. Con la lingua la raccolsi passandola sulle labbra secche. Allora sentii il terrore salirmi addosso, la bocca dello stomaco bloccarsi, il respiro ansimare e le mani che mi tremavano. - Il virus mi aveva raggiunto?! - Mi girai di scatto e mi lanciai di peso contro la finestra. Quando mi riebbi, era tutto buio. Sentivo la fronte e la spalla dolermi. A tentoni mi mossi nella stanza; toccai il braccio del divano. Poi cominciai a camminare tenendo le mani avanti...ora sentivo solo la fredda durezza di una parete; era umida e appiccicosa. Spostai la mano sulla sinistra continuando a tastare. Ora percepivo la consistenza del legno: era la porta. Ecco la maniglia; la girai e, questa volta, si aprì. Boris Gagliardi (@borisgagliardi)
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