“Gli occhi del mare”

Gli occhi del mare (retelling del personaggio Plasson da Oceano mare di Alessandro Baricco);
di Salvatore Amico @toto_amico;


Tra le risate finte, dovevo solo riuscire a fare una cosa: dipingere gli occhi. Da lì era tutto in discesa. I capelli, il sorriso e il resto si facevano da soli. Mi pagavano il giusto per la mia piccola casetta e per comprare i materiali da disegno. Però, stavo mettendo di lato dei soldi per andare al mare.
La manfrina era: entravi, ti mostravano i loro mobili di nuova generazione, annuivi silenziosamente, ti facevano sedere, poi tu li facevi sedere e si dipingeva. Come detto prima, la durata delle sedute dipendeva da quanto tempo impiegassi a ritrarre gli occhi. Se erano grandi e tondi era difficile, più erano piccoli meno mi dovevo impegnare. Poi, c’era chi mi faceva perdere tempo, improvvisando sguardi, a detta loro, di moda. E io, stavo lì, ad aspettare che i muscoli facciali gli stancassero e così che tornavano rilassati e pronti a essere dipinti. Infine, arriva una ragazza. Era piccola, per me e per la società. Ancora non aveva completato l’istruzione, infatti, dovevo ritrarla proprio per la sua imminente entrata in società.
Poggiava le mani sopra le gambe accavallate, ma dopo poco cambiava posizione, non stava mai ferma. Sistemava i capelli, guardava in giro, mi faceva domande inopportune.

“Come mai fai il pittore?”
Ma io non rispondevo mai.
Non era un problema si muovesse, mi lasciava abbastanza tempo da poterle disegnare gli occhi. Finito, ricoprivo la tela di bianco e ricominciavo, sempre dagli occhi. Mi piaceva dipingere i suoi occhi e volevo farlo il più possibile.
“Quando entrerò in società, la prima cosa che voglio fare è andare al mare” mi diceva.
“Anche a me piacerebbe andarci” le rispondevo.
Se mi parlava di mare non sapevo stare in silenzio.
“Le piace il suo lavoro?” Si ostinava a farmi domande
“Penso sia bello…” Rispondevo, pensando lei fosse uno dei motivi che lo rendeva bello.
Poi, ricoprivo tutto di bianco.
“Perché non finisce il ritratto?” Mi domandava ogni sera.
“L’ispirazione…” Avevo risposto una volta.

Ma i suoi occhi erano così tondi, così facili da dipingere, così belli da dipingere, brutti da mostrare ad altri. Poi del resto non m’importava. Le sue sopracciglia neanche le ricordo. Il collo lo aveva troppo corto.
Infine, lei aveva capito perché non completavo il quadro. Aveva riconosciuto i miei sentimenti. Sapevo fosse destinata ad un uomo in alta divisa. Persino più vecchio di me. Mi sorprendeva che i suoi occhi non cercassero l’amore. Riuscivano a capirlo. Lo avevano visto in me verso i suoi. Ma non lo volevano provare. Compassione.
“Signor Plasson, qual è il suo più grande sogno?” Mentre ripassavo di bianco la tela continuava a fare domande.
Non avrei dovuto rispondere però dissi il mare.

Il giorno dopo si presentò con il biglietto di un treno.
“Arrivato alla locanda faccia il nome di mio padre, l’accoglieranno volentieri.” Mi diceva.
“Ne prenda un altro e venga con me.” La supplicavo.
“Lo sa che non posso. La sua richiesta mi sta facendo ricredere dell’alta opinione che ho di lei.”
“Ci devo pensare “ concludevo.
Dormivo e pensavo al mare che avevo visto solo in foto, neanche scattate tanto bene. Ma lo immaginavo meglio. Pensavo a lei davanti al mare. Partirò dai suoi occhi e poi ritrattò il mare. Pensavo: se vado senza lei rischio di non concludere nulla.
L’avevo pregata, inginocchiandomi, le avevamo promesso non sarebbe stata una fuga d’amore, che prima avrei chiesto la sua mano. Lei mi aveva detto che non era solo una questione di doveri ma che non provava nulla per me, e che anzi, la sua grande stima nei miei confronti la portava a sperare che potessi realizzare tutti i miei sogni, che non lei affianco avrei rischiato di tralasciare. Quindi, mi ero arreso ed educatamente la salutavo per partire per il mare. Arrivato al treno, ci fu una sorpresa. La ragazza, ancora troppo piccola per la società, era arrivata con il mio ritratto in mano. Era bianco, l’ultima passata di colore l’avevo messa di fretta… e si intravedevano i colori dei suoi occhi. Mi diceva di prenderlo con me. Quella scappata era l’unica trasgressione che si lasciava. Anche a chi sta in alto stava bene un errore di gioventù. Si sarà persa le punizioni che gli spettavano, ovviamente. Mi lasciava il quadro come ultimo ricordo e mi salutava fregandosene degli occhi indiscreti che facevano parlare bocche troppo grandi.


Salvatore Amico

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