“Le persone non sono più persone…”

Le persone non sono più persone di Loris Pina @grissinotunatuna;
artwork: Natascha Baumgärtner @trudeiskrude
“Esco un attimo, mamma.”
“Dove vai?”
“A prendere qualcosa: il frigo è vuoto.”
Sua mamma, Alice, se ne stava sul divano assieme al papà e alla sorella: abbracciati dalla coperta (tranne le calze di Giulia, arancioni, che sporgevano accaldate) riposavano davanti alla Tv. La finestra era rimasta aperta ma a tapparelle abbassate, giusto per cambiare l'aria.
Matteo prese il manganello telescopico e provò ad azionarlo - l'aveva acquistato due anni fa su ispirazione di un manga, Dud's Hunt – estraendolo con un colpo secco; l'unico difetto era che per farlo rientrare doveva sbattere la punta con forza contro una superficie scheggiando la vernice nera.
Oltre al forte mal di testa che ne seguiva.
“Faccio in fretta.”
“Vuoi una mano o...”
“No papà, grazie.” Matteo lo liquidò con un cenno del capo e allacciò la felpa. “Da solo farò prima.”
Suo papà aveva scostato un lembo della coperta tirandosi in piedi: portava un paio di ciabatte chiuse, di cuoio marrone, e un paio di pantaloncini verdi. La maglietta era tutta stropicciata.
“Vai avanti, sto io alla porta; così non la devi chiudere a chiave.”
Matteo lo scrutò: le borse sotto gli occhi si erano ingrossate, due parentesi tonde che tentavano di intrappolare il sonno perduto. Al calare delle tenebre gli oggetti entravano in agitazione e urla deliranti squarciavano le pareti delle abitazioni, testimonianza di altri caduti nelle file degli uomini.

“Le persone non sono più persone!”

Prima di uscire Matteo era passato in bagno a sciacquarsi i denti. Dopo aver sputato il dentifricio nel lavandino si era pulito la bocca e aveva fissato lo specchio: a furia di raderli, i peli sul mento si erano infoltiti ed erano cresciuti più scuri.
Aveva aperto l'armadietto, preso il rasoio e la schiuma da barba e se l'era spalmata distrattamente sul mento, celando il proprio riflesso.
“Sono ancora una persona?”
Lui sciacquava via il dubbio dentro la vaschetta del lavandino tra i peli e gli schizzi d'acqua che saltavano contro il vetro dello specchio.

Matteo stava attraversando via Vittorio Veneto fino all'imbocco della superstrada: superata una breve salita avrebbe svoltato a sinistra proseguendo verso l'Eurospin; il Famila, l'altro supermercato, era da evitare da quando i cassieri erano diventati oggetti: avevano dei problemi a ingoiare le monete e non davano resto.
Di fronte all'incrocio quattro autoambulanze, dispiegate di traverso in entrambe le corsie, erano di pattuglia ma il sole basso del pomeriggio le abbagliava rallentandole. Lui le evitava incuneandosi in una serie di viuzze striminzite ricche di dossi che scorrevano fra le case del Polvericcio per cinquecento metri,
permettendogli di aggirare il posto di blocco della Croce Rossa.
Disponeva di un'oretta scarsa di luce per fare la spesa e tornare a casa prima del tramonto.

Il profilo del Muro di Mani sbucava oltre le cime delle montagne accerchiandole, contenendole – il Muro si congiungeva agli orizzonti (pollici a nord e mignoli a sud) – nei suoi palmi. 
Dalla sua comparsa le persone stavano impazzendo: auricolari nelle orecchie, cellulare nella tasca interna del giubbetto, musica sparata al massimo, occhiali da sole erano la difesa di Matteo contro l'invito strisciante del Muro di Mani.

Prima del benzinaio Matteo aveva girato a destra, infilandosi dentro il parcheggio dell'Eurospin: all'entrata, davanti alle porte automatiche esauste, un ragazzo lo accolse ciondolando un secchio azzurro in un semicerchio.
Matteo si fermò e scese dalla bici, bloccandola col cavalletto. “Ciao, Daniele.”
Daniele esibì un magnifico sorriso compiaciuto, constatata la presenza di Matteo il suo vicino in bici la fatica il sudore accumulato pedalata dopo pedalata insaponare sciacquare pulire.
“Oggi fa molto caldo, Matteo: vorrai ripulirti.” Daniele appoggiò il secchio a terra, prendendo una manciata d'acqua e gettandosela in faccia: si strofinava la bocca e sbavava, riproducendo la schiuma del sapone. “Le persone non sono più persone ma il profumo di lavanda rimane quello più buono: anche la Donna Cuscino lo porta.”
Matteo lo scansò entrando nel supermercato. Erano le due di pomeriggio e il sole si era mangiato le nubi per accaparrarsi gli ultimi squarci disponibili di terra.
All'uscita Daniele non lo aveva degnato di uno sguardo, assorto nella pulizia delle vetrate dell'Eurospin.
Matteo raggiunse la sua bici, legò i sacchetti alle due estremità del manubrio e diede un'occhiata a ovest: il giorno stava svanendo dietro le dita del Muro di Mani, in procinto di allungarsi per ghermirli e permeare i pori della pelle, entrando in circolo col sangue.
Gli oggetti avevano ascoltato per anni le voci degli uomini, imparando ad imitare toni gravi e rassicuranti.
Matteo sprigionò la massima velocità concessa dall'adrenalina tagliando ogni curva, ignorando le ginocchiate sferrate ai sacchi della spesa che ondeggiavano rischiando di farlo cadere: un borbottio crescente lo tallonava alitandogli sul collo, suggerendogli di rallentare e voltare la bici nella direzione opposta.
Ieri si era scordato di ricaricare gli auricolari.



Loris Pina @grissinotunatuna

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